Yuraiseki (V): Zansetsu, Banri Kozan, Kyusen Hakkai e le vecchie pietre “perdute”

Yuraiseki (V): Zansetsu, Banri Kozan, Kyusen Hakkai e le vecchie pietre “perdute”

Di Jesús Quintas (qseki)

PARTE PRIMA

Introduzione

Nella sua nota “Storia del Suiseki” inclusa in ONUKI 1967, MURATA KENJI indica esplicitamente tre pietre già apprezzate in epoca Ashikaga (1338-1568): Sueno Matsuyama, Zansetsu e Banri Kozan, e si può dedurre che fossero considerate oggetti di valore nell’eccezionale movimento culturale Higashiyama (1436-1490). Egli nota anche che sia il Sueno Matsuyama, che lo Zansetsu venivano utilizzati come ornamenti nelle cerimonie del tè.

Nel capitolo III di questa serie ho parlato del Sueno Matsuyama, ma nulla è stato indicato sugli altri due bonsan (allora i nomi più comunemente usati per indicare ciò che oggi indichiamo come suiseki): Zansetsu e Banri Kozan. Sembra che entrambi fossero considerati più vecchi di Rozan e probabilmente anche di Yumeno Ukihashi. Inizialmente ritenevo che fosse quasi impossibile dire qualcosa di interessante su queste due pietre, così ho lasciato che questo argomento finisse nel mucchio, dato che ero riuscito a raccogliere solo pochissime informazioni. Per essere assolutamente sincero, è da poco che ho notato che il Densho seki conteneva una foto e un commento su Banri Kozan. Quest’ultima “scoperta” ha fatto risalire il mio interesse a continuare la serie preparando questo capitolo, dedicato principalmente a Zansetsu, Banri Kozan e Kyusen Hakkai.

Quindi, dei nove yuraiseki citati da Marushima 2002 (p.167), rimangono due pietre apparentemente perdute (Asamayama e Hiryu), poiché non sono riuscito a trovare alcuna immagine o descrizione nelle fonti consultate. Non è da scartare l’ipotesi che libri e saggi scritti originariamente in giapponese possano contenere alcune informazioni. Se qualche lettore ottiene ulteriori informazioni o dettagli, gli sarò grato per avermi permesso di accedervi e di conseguenza di aggiornare i contenuti di questo capitolo. Questo capitolo fornisce esclusivamente alcuni contesti e collegamenti ipotetici derivati dai nomi delle pietre.

Anticipo che il prossimo capitolo tratterà delle “pietre Enshu” e si riferirà non solo alle due pietre citate nel Bonsan Higon (Hatsukari e Rafuzan), ma anche ad altre pietre esistenti del primo periodo Edo che sono attribuite a Kobori Enshu o che presentano caratteristiche simili. Questo capitolo conterrà anche un elenco di altre pietre antiche esistenti, ricavato dalle informazioni contenute in alcuni libri consultati.

1.         Zansetsu (“Neve persistente”)

1.1.     Tradizione tramandata

Ho visto spesso Zansetsu menzionata in pubblicazioni, presentazioni e conferenze sul suiseki; la maggior parte delle volte tali menzioni si riferiscono a lei insieme a Sueno Matsuyama (si veda il capitolo III di questa serie). Le menzioni indicano che entrambe le pietre sono state ripetutamente esposte e utilizzate nelle cerimonie del tè nel periodo della cultura Higashiyama (1449-1490) e nel primo periodo Edo da Kobori Enshu (1579-1647).

Al contrario di Sueno Matsuyama, non ho trovato storie aggiornate né riferimenti a Zansetsu, tanto alla pietra quanto al suo nome. Non ho trovato alcun riferimento alla sua provenienza, ma oso ipotizzare che sia stata introdotta in Giappone dalla Cina, forse nel XIV secolo.

Ho visto solo un’immagine accettabile di Zansetsu (Densho-seki, p.115) in cui la pietra appare “spoglia”, senza recipiente, daiza, vassoio o panno, né scroll di accompagnamento, solo su un ripiano piatto e scuro (‘dana’).

Secondo MARUSHIMA 2002 (p.168) sia il Sueno Matsuyama che lo Zansetsu sono conservati presso il Nishi Honganji di Kyoto.

Zansetsu, [23(L) x 9(P) x 14 (H) cm]

1.2.     Contesto culturale e storicità

Sembra che lo Zansetsu faccia riferimento alla stagione in cui la neve si scioglie lentamente in acque correnti, ma la neve rimane persistente sulla montagna. Si tratta della cosiddetta “neve persistente”. Sebbene SHIRANE 2012 (p.177) noti che “zansetsu” è stato menzionato nell’“Enoko-shu” di Matsue Shigoyori (1633) come una delle nuove parole introdotte negli haiku in riferimento alla stagionalità, non sono riuscito a trovare alcun precedente poetico sull’uso di questo termine (probabilmente sarà colpa mia), se non la seguente poesia haiku di Bokusui (ⴕ 1914), riportata da HOFFMANN 1986 (p.143):

– Giapponese:

Jisei nado

zansetsu ni ka mo

nakarikeri

– Inglese:

A parting word

the melting snow

is odorless

– Spagnolo (mia versione)

Una despedida

La nieve que se funde

no tiene olor.

– Italiano

Una parola d’addio

la neve che si scioglie

è inodore

Ovviamente un singolo esempio recente del XX secolo non fornisce un contesto culturale per un vecchio pezzo che risale al XV secolo o prima, sia esso collegato o meno alla morte. Così il nome Zansetsu appare come un semplice indicatore “kigo”, lontano dalle sottigliezze e dalle profonde implicazioni derivate da nomi di pietre apparentemente contemporanee come Sueno Matsuyama, Banri Kozan, Yumeno Ukihashi e persino Rozan inclusa.

Sebbene sia Sueno Matsuyama che Zansetsu siano considerate introdotte in Giappone quasi nello stesso periodo e siano conservate nello stesso luogo, è un po’ sorprendente che Zansetsu non sia collegata a un evento rilevante, come accade nel caso di Sueno Matsuyama all’episodio del Monte Hiei (1571).

Ho commentato informalmente con persone che hanno avuto il privilegio di osservare ‘dal vero’ questa pietra e mi hanno assicurato che possiede una vera patina antica di secoli, anche se non è ben visibile nella foto, in risposta alla mia preoccupazione di sapere se questa pietra è l’originale del periodo Ashikaga o una sostituzione non così antica del XVII secolo, per esempio. In ogni caso, mi sfugge qualcosa.

A questo punto vorrei fare un passo indietro a SHIRANE 2012 (p.177).  Il suo commento letterale è il seguente:

“La maggior parte delle nuove parole stagionali, come “aglio”, indicano una stagione particolare (la primavera) e non hanno associazioni poetiche. La sezione primaverile dell'”Enoki-shu” (raccolta di cuccioli, 1633) di Matsue Shigeyori, una raccolta di haiku della scuola Teimon (guidata da Kitamura Kigin), consiste quasi interamente di temi classici familiari e consolidati come il fiore di prugna (ume), la neve persistente (zansetsu), l’erba primaverile (shunso) e la luna primaverile (haru no tsuki)”.

Da questo testo mi permetto di dedurre che “zansetsu” è stato introdotto negli haiku, provenendo da argomenti familiari e/o classici, non molti anni prima del 1633, per cui sembra un po’ strano che sia stato usato per dare il nome a un capolavoro bonsan incluso nella raccolta dello shogun Yoshimasa.

1.3.     Esame

Va considerato che, come per tutte le pietre considerate in questa serie, il mio esame si basa su ciò che sono in grado di percepire dalle foto disponibili e Zansetsu non fa eccezione.

La mia percezione è quella di un pezzo di calcare con inclusioni di quarzo/calcite senza alcuna alterazione significativa. Tuttavia, sembra che abbia subito un processo di formazione diverso, con acque acide in lento movimento, tipico delle pietre Furuya, Seigaku e Liguri, per citarne alcune, e più vicino ai Lingbi cinesi. Sorprende un po’ il tono grigio chiaro della matrice, considerando l’antichità attribuita e la creazione della patina, ma potrebbe essere dovuto a un effetto di illuminazione durante la realizzazione della foto.

Le misure riportate di Zansetsu sono 23 (larghezza) x 9 (profondità) x 14 (altezza) cm, in linea con quelle delle pietre da studio per studiosi e abati che possono essere tenute in una mano. La sua forma e le sue caratteristiche ricordano un monte innevato, con un ghiacciaio sospeso che inizia a sciogliersi, ma senza cascate significative.

Le caratteristiche di Zansetsu che si discostano in modo evidente dalla “sorella” Sueno Matsuyama sono, a mio avviso, le seguenti:

  • La sua pulizia “non completa” apparentemente relativa, che lascia tracce di argilla e aderenze visibili. Questo è vero anche se confrontato con le pietre Lingbi (in cui alcune aderenze di argilla arancione difficili da rimuovere sono lasciate in aree non visibili (fondo e/o retro).
  • Le strane forme degli angoli laterali e i segni di rotture (soprattutto nell’angolo destro).
  • La prominenza a destra della sommità (area non bianca) che contrasta con la scena suggerita e il nome assegnato.
  • Non è chiaro se il fondo sia stato lavorato o meno; in caso affermativo, sembra non livellato e sale troppo all’estremo destro.

In definitiva, Zansetsu non mantiene la raffinatezza e la squisita cura che si possono immediatamente apprezzare in pietre coeve come Sueno Matsuyama e Yumeno Ukihashi, per citarne solo due.

Dovrebbe essere una percezione assolutamente errata concludere che questa pietra non è adatta a essere esposta, contemplata e ammirata; è esattamente il contrario. La domanda è appunto quale sarebbe il modo migliore per esporla. Come semplice caso di studio, mi permetto di proporre tre alternative che ovviamente non sono le uniche possibili:

a) Esposizioni attuali

Al giorno d’oggi, la maggior parte delle esposizioni al pubblico viene allestita su un lungo ripiano con un uso molto limitato dei complementi, se presenti. Così si può designare il tana-kazari. Negli ultimi anni, in alcune mostre sono stati introdotti dei divisori verticali, di solito con spazi individuali più ampi, che ricordano le presentazioni ispirate ai tokonoma (toko-kazari).

Una tipica mostra attuale presenta la pietra posta su un supporto di legno (daiza) o su un vassoio (suiban/bonsan) di stile moderno, evolutosi nel periodo Meiji o successivamente. L’allestimento è completato da un tavolo da esposizione (shoku).

Per migliorare l’apprezzamento della pietra, ho preparato 3 schizzi, limitati al daiza e al suo immediato supporto, quindi sia i complementi, che i tavoli da esposizione sono stati omessi, in modo da concentrare l’attenzione sul corretto equilibrio tra pietra e daiza. Di questi, due corrispondono allo stile espositivo attuale, mentre il terzo è basato sullo stile classico shoin.

Nel primo schizzo (Zansetsu/1) ho abbinato la pietra a un daiza in legno personalizzato di colore marrone scuro. Ho controllato che il daiza fosse abbastanza spesso da coprire la maggior parte del fondo, ma che abbia un aspetto snello e si adatti alla pietra. Si dovrebbe controllare che la foto originale mostri spazi vuoti significativi in entrambe le estremità della pietra, soprattutto sul lato destro. Una leggera inclinazione verso il basso dell’estremità destra riduce le dimensioni del “supplemento” di legno necessario per riempire gli spazi vuoti.

Esposizione di Zansetsu: alternativa 1

A mio avviso, il risultato è abbastanza equilibrato: la pietra produce un’immagine maestosa, mentre il daiza riflette un’eleganza sobria ma distinta (shibui) che riduce l’aspetto altrimenti troppo rustico della pietra.

Ora, permettetemi di rivolgere la vostra attenzione alle tracce arancio-brunastre della pietra: corrispondono grosso modo ad aree della superficie della pietra che sembrano impure o ossidate. Esse producono un’immagine contraddittoria per un oggetto prezioso che si dice possa essere conservato per circa 600 anni (si confronti con le pietre presentate nei capitoli precedenti). Tra questi, ce ne sono due che mi colpiscono più del dovuto:

  • L’evidenza di una “rottura non curata” nell’estremità inferiore destra, che fa pensare a un incidente recente e/o a una quantità insufficiente di yoseki.
  • L’estensione verso destra della sua sommità (un’area più scura appare anche nella foto originale). A questo proposito, va notato che la pietra ha una profondità di soli 9 cm, quindi questa estensione non fornisce una maggiore profondità all’indietro.

I dettagli appena indicati rimangono nella seconda esposizione (Zansetsu/2), in cui un suiban sostituisce il daiza come supporto della pietra. Il design suggerito per il suiban sarebbe un vassoio bianco sporco (o anche di un colore biancastro sporco) corrispondente ai modelli creati nel periodo Meiji o successivamente.

Esposizione di Zansetsu: alternativa 2

Ho “optato” per una semplice forma rettangolare, di media altezza, per ottenere un’esposizione austera in accordo con una scena di fine inverno, in cui neve, nuvole e nebbia creano una suggestione di isolamento e vuoto. L’allestimento potrebbe essere completato da un cartiglio raffigurante un sole nuvoloso e pallido come una luna, che rafforzerebbe l’armonia meditativa dell’intera esposizione.

Si propone di utilizzare una sabbia grigio chiaro per riempire la vasca. Anche se non è possibile apprezzarlo nel mio povero schizzo, alcuni leggeri cumuli di sabbia consentirebbero di riempire le fessure del fondo della pietra.

b) Esposizione “antica”

L’esame delle esposizioni di suiseki incluse in varie pubblicazioni contenenti foto di pietre antiche mi ha portato a dedurre una distinzione tra le pietre da studio cinesi (yansan) e i bonseki giapponesi, per quanto riguarda l’uso di elementi di supporto: soprattutto a partire dalla dinastia Ming, le yansan erano principalmente collocate su supporti in legno o pietra fatti su misura; d’altro canto, i bonsan/bonseki giapponesi erano solitamente esposti su vassoi in legno/metallo/ceramica o su tessuti/cuscini, mentre l’uso di supporti fatti su misura si espande nel tardo periodo Edo e in modo più significativo dal periodo Meiji in poi. L’ultimo allestimento proposto (Zansetsu/3) mostra la pietra collocata su un pezzo di tessuto di colore grigio argento con l’inclusione di un motivo dorato o arancione di linee incrociate o semplici disegni astratti.

Esposizione di Zansetsu: alternativa 3

Spero che apprezzerete che il concetto di questo design è lo stesso di Zansetsu/2 e che la differenza rilevante è l’uso di un elemento di supporto ampiamente utilizzato nei periodi Ashikaga e Edo. L’inclusione del motivo oro/arancio allude ai deboli raggi del sole di fine inverno che spingono la neve a indugiare. La condizione di flessibilità dei tessuti/cuscini aiuta a nascondere le irregolarità del fondo di pietra.

Evito il più possibile di entrare nel dibattito sull’alterazione delle pietre, e questo caso non farà eccezione. Tuttavia, il più semplice confronto di Zansetsu/3 con le altre due esposizioni proposte evidenzia immediatamente una “alterazione” nella forma all’estrema destra della pietra che è segnata da linee: la “rimozione” dell’estensione sommitale altrimenti scura e l'”ammorbidimento” della pendenza che porta al fondo, così come l’invecchiamento della rottura vicino al fondo.

A mio avviso, questi “aggiustamenti” migliorerebbero l’equilibrio e la bellezza della pietra e della composizione; sembra quindi sorprendente che non siano stati fatti secondo gli usi di un tempo sull'”abbellimento” delle pietre da ammirare; tuttavia, si tratta solo di esercizi teorici (“e se…?”) tracciati grossolanamente su un foglio, non di un’alterazione vera e propria né di un suggerimento per fare un’alterazione.

BIBLOGRAFIA SUPPLEMENTARE 

Oltre a quelli indicati nei precedenti capitoli di questa collana e parzialmente correlati a questo capitolo, si fa riferimento ai seguenti libri:

  • FUKADA KYUYA: One Hundred Mountains of Japan, di Kyuya Fukuda, University of Hawai Press, Honolulu, 1964. Traduzione inglese di Martin Rood, 2015. ISBN 978-0-8248-4752-4.
  • HOFFMANN YOEL: Japanese Death Poems, di Yoel Hoffmann (compilatore), Tuttle Publishing, 1986. ISBN 978-4-8053-1443-2.
  • SHIRANE HARUO: Japan and the Culture of the Four Seasons, di Haruo Shirane, Columbia University Press, New York, 2012, ISBN 978-0-231-15280-8.

Si noti che la ricerca è stata effettuata principalmente attraverso una ricerca approfondita utilizzando risorse Internet, come Wikipedia e Google, enti culturali e turistici, con particolare riferimento a pagine web relative a monumenti, pagine web ufficiali, enti religiosi, ecc.

articolo di Jesús Quintas, ‘qseki’ (Spagna)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Traduzione a cura di Laura Monni. Pubblicazione a cura di Aldo Marchese

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