A.I.A.S., venticinque anni di storia

A.I.A.S., venticinque anni di storia

Intervista a Chiara Padrini

Con l’importante ricorrenza dei 25 anni di fondazione dell’A.I.A.S., un’intervista a Chiara Padrini, considerata un motore iniziale basilare per la costituzione della nostra amata associazione, è un doveroso omaggio, oltre che un indubbio piacere. Rilevante ricordare che è grazie alla tenacia di un gruppo di persone che adesso possiamo divertirci e passare del tempo lieto con le nostre pietre e con amici che condividono la nostra non comune passione.

Chiara a Giacopiane

Prima e classica domanda: quando e come è nata in lei la passione per il suiseki?

Ho conosciuto alcuni componenti del Club Suiseki “Unici di Liguria” nel 1990-91, quando ero nel Consiglio direttivo dell’A.B.A.N., per i più giovani l’Associazione Bonsai Arte e Natura, che organizzava un congresso nazionale di Bonsai a Torino. Ci fu chiesto uno spazio per le pietre e così vidi per la prima volta i palombini liguri, rimanendone affascinata. Ero però molto presa nel seguire ed organizzare eventi per l‘ A.B.A.N. e facevo bonsai come hobby, quindi le pietre rimasero per qualche tempo in secondo piano, ma era stato piantato un seme.  Dopo qualche tempo, riuscii a farmi portare a Giacopiane, dai coniugi Malpeli. Cominciai a studiare l’arte del suiseki sui pochi testi allora disponibili e per divulgarne la conoscenza, iniziai a tenere una rubrica fissa sulla Rivista Bonsai Arte e Natura. Poco per volta il suiseki prese in sopravvento sul bonsai come interesse primario, forse per il disagio che ho sempre un po’ provato nel “manipolare” le piante, ma soprattutto per il valore artistico e la grande libertà espressiva e suggestiva che le pietre comunicano.

Ci racconta il periodo della fondazione dell’A.I.A.S., il fermento, la volontà di dare un’impronta decisiva e concreta che produrrà negli anni di seguito un gran numero di nuovi appassionati nell’arte delle pietre Giapponesi?

Gli anni novanta rappresentarono un periodo di svolta per tutto l’ambiente bonsaistico e suisekistico italiano e posso dire che ne fui parte molto attiva. Le iniziative che proposi, furono accolte ed attuate in seno all’A.B.A.N. e produssero grandi passi avanti, si iniziarono le scuole bonsai con i Maestri giapponesi e di conseguenza il riconoscimento di istruttori qualificati.  Ma erano sempre in seno a una associazione di amatori, il che ovviamente creava un conflitto d’interessi. Venne quindi l’esigenza, per le persone qualificate sia in campo bonsai che suiseki, di riconoscersi in una istituzione specifica. A questa iniziativa diedi un importante impulso. Nacque così l’IBS, di cui fui presidente per 8 anni, che culminarono con il primo congresso mondiale di Bonsai e Suiseki, che organizzai per conto del B.C.I. (Bonsai Club International) nel 2008 a Saint Vincent.

Contestualmente all’inizio della importante trasformazione associativa del bonsaismo italiano, il gruppo pionieristico dei suiseki sentì la necessità di affermare questa arte non a traino del bonsai, ma in forma autonoma e far riconoscere la sua unicità, valore artistico e culturale. Creammo così l’A.I.A.S., di cui scrissi lo statuto e fui tra i soci fondatori e che accompagnai per alcuni anni nell’organizzazione, ricordando ancora, tra le tante cose realizzate, il Congresso nazionale di Carmagnola, dove invitai la signora Hideko Metaxas dagli Stati Uniti e Willy Benz.

Il suo essere pioniera in tante situazioni, come nella ricerca, l’ha portata in diversi luoghi di ricerca allora ancora sconosciuti, come per esempio, la Sicilia. Ci può riferire come è avvenuta l’intuizione?

Non è stata proprio un’intuizione, ma trovandomi per un congresso in Sicilia, conobbi dei bonsaisti che iniziavano a interessarsi di pietre.  Fondamentale fu l’incontro con Mimmo Abate, che mi portò per la prima volta sulle Nebrodi, facendomi scoprire questo luogo bellissimo e ricco di materiale. Ci sono poi tornata alcune volte, per congressi o portando miei allievi dall’estero dei corsi di suiseki, che ho organizzato per qualche anno. Esperienze indimenticabili per il piacere di trovarsi in luoghi bellissimi, con amici cari e godendo dell’ospitalità siciliana. Ma anche questo è un regalo che le pietre fanno agli appassionati. A volte mi chiedo quale è il più importante: se la ricerca e il ritrovamento, l’ammirazione di un pezzo unico o la vita che continuano ad offrirci anche quando l’età ci presenta il suo conto e molte cose non si fanno più. Le pietre il conto, infatti, non lo presentano mai.

Il passare del tempo e la sua innata curiosità l’ha portata a conoscere bene anche le pietre cinesi e coreane, cosa ci può dire in merito?

Sì, ne ho fatta di strada per conoscere le pietre. In vari paesi ma soprattutto otto volte in Cina, Nord- Sud, Est- Ovest, grandi congressi dove ho anche avuto l’onore di tenere conferenze, visitando molte incredibili collezioni e fantastici Musei di Pietre. Aprire un discorso su pietre giapponesi, cinesi, coreane è un’impresa troppo grande per poche righe.

Mi fu chiesto cosa pensassi delle pietre giapponesi e di quelle cinesi. Risposi che per me quelle giapponesi arrivavano alla mente, al cervello, una sofisticata visione, che nella sua algida estetica porta a una ammirazione o contemplazione rarefatta e spesso ripetitiva. Quiete? Controllo emozionale? Anticamera alla meditazione? … forse. Mentre le pietre cinesi ti arrivano subito come un pugno nello stomaco, un’emozione vivida e dinamica. Non c’è staticità, ma moto, cambio, sollecitano il pensiero e l’immaginazione.  In tutto questo c’è il profondo, quasi opposto modo di sentire di questi due popoli. Mi scuso per la sommarietà delle frasi. E’ un tema che richiederebbe molto più spazio. In sunto però mi sento di dire che quando ho iniziato a vedere ed ammirare le pietre cinesi mi si aperto un mondo sconosciuto ed infinito davanti agli occhi.

Durante la sua esperienza ha avuto molte soddisfazioni, riconoscimenti da tutto il mondo, ci può raccontare una di quelle che le è rimasta di più nel cuore? Il suo suiseki preferito?

Nel cuore? Posso dirne due, mi permette?  Una in America 2004, quando fui invitata a tenere 2 conferenze al Simposio internazionale delle Pietre insieme a due mostri sacri: Sinji Morimae e Willy Benz. Il mio secondo intervento non fu una conferenza come siamo abituati a sentire, ma misi insieme dopo un paziente lavoro di ricerca una proiezione dove parlavano solo le pietre, immagini di paragone e musica.  Hanno parlato benissimo loro e il pubblico poi mi ha gratificata di una standing ovation con il maestro che mi disse: Hai capito cosa sono le pietre! Però, se non per le fasi di ricerca e assemblaggio, il merito non era il mio, ma delle immagini, delle pietre. Questo lavoro è stato proiettato in molti paesi del mondo e so che ha avvicinato al mondo del suiseki molte persone.

La seconda durante un grande congresso in Cina, al ricevimento mi sento toccare la schiena da una giovane cinese che faceva da interprete a un piccolo signore anziano di cui ricordo il sorriso enorme. Mi dice che il Maestro desidera regalarmi il libro della sua collezione. A me?  E giù inchini … poi mi dicono che è uno dei più importanti in Cina e che quel libro vale più delle pergamene e targhe che mi avevano dato.  Ma poi cosa conta? Quel sorriso che non dimenticherò e quel gesto di amicizia.

Il suiseki preferito forse non ce l’ho. Posso dire che non è “possedere” una pietra che conta, ma il cammino che ti ha fatto fare. Però tra le mie non è una pietra, ma tre: tre piccole foche, trovate in luoghi ed anni diversi, messe insieme su una base bianca a immagine del pack.  Mi fanno pensare ai miei tre figli. Nulla, come vede, che si possa riferire al suiseki classico e formale, ma ai sentimenti che può suscitare.  Una invece più “seria” che ho chiamata “SOLA”, trovata a Giacopiane in una bella giornata di tanti anni fa insieme ad amici: c’erano anche i coniugi Benz. È una forte, solida pietra, che fu anche premiata, tirata fuori da un canaletto, nascosta sotto un’altra. Quando l’ho avuta tra le mani fu emozionante. Ciao, le ho detto, come va?

In questi ultimi tempi imperversano sul web discussioni sulla lavorazione delle pietre, quale è il suo pensiero e che consiglio può dare agli appassionati?

Beh, è un argomento che imperversa da sempre. Se la pietra è un’opera d’arte della Natura chi sono io per modificarla?  La modifica riguarda credo al 99 % il taglio della base e anche se non lo vedo perché nascosto dal daiza o nella sabbia, io lo so e la mia mente è disturbata.

Come vede il futuro del suiseki in Italia?

Spero positivo e in crescita! Sono lontana da tempo dalla vita pubblica del suiseki, ma sono sicura che il testimone passerà dalle mani dei pionieri a quelle più giovani, trasmettendo la stessa passione e voglia di crescere e conoscere. Viviamo in tempi traballanti e incerti, cosa più di una pietra può darci il senso di stabilità e durevolezza!

Grazie a tutti voi per esservi ricordati di me, e buon suiseki a tutti!

Grazie per la pronta e grande diponibilità che ci ha regalato con questa sua importante testimonianza: che la sua passione sincera possa essere d’esempio e dare nuova linfa a tutti i soci dell’associazione, veterani e nuovi, per continuare insieme il cammino nell’A.I.A.S.

Pietro Prudentino © RIPRODUZIONE RISERVATA

IL passator cortese
Partecipanti, provenienti da varie parti del mondo, alla settimana “vacanza e suiseki”. Workshop di costruzione di un daiza con la collaborazione di Andrea Schenone

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2 Comments

  1. La memoria, che sia scritta, parlata, filmata o fotografata, comunque documentata, è fondamentale per trasmettere ai posteri le vicende vissute da una comunità, da una famiglia, da una associazione.
    Ciò che ha fatto Pietro, con la sua intervista, è una pietra miliare sulla vita sociale dell’Aias.
    Grazie Pietro

  2. La mia esperienza con il Suiseki, “pardon”, con le pietre è più recente rispetto al Bonsai, che iniziai nel solo nel 1975, mentre con il Bonsai fu nel 1958 per una visione onirica, ammirando un albero fiorito in lontananza, il quale per una visione ottica, si appoggiò in miniatura sul palmo della mia mano. E così iniziò l’avventura…

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